La fruttivendola
Le vacanze estive quest’anno le avevo programmato all’insegna del riposo assoluto
Due settimane in campagna dai parenti di mia moglie, quindici giorni senza fare assolutamente nulla eccetto mangiare e dormire e soprattutto senza guidare, visto che ogni giorno per lavoro macino chilometri su chilometri. Il primo giorno la mia vacanza ha rispettato in pieno il programma ma il secondo ecco che mia moglie mi chiede di andare a comprare della frutta. A nulla sono valse le mie proteste, sono dovuto andare dal fruttivendolo che, per mia fortuna, distava poco dalla casa ma non tanto da poterci andare a piedi. Con lo stesso entusiasmo con cui si va dal dentista mi sono messo in macchina e, presa la lista, sono partito. Fortunatamente nei paesini di campagna non ci sono problemi di traffico e di parcheggio per cui in pochi minuti sono arrivato proprio davanti alla bottega che mi avevano indicato. Parcheggio, scendo dall’auto, prendo le buste vuote ed entro: mi accoglie una visione da favola. Il fruttivendolo era una fruttivendola e che ragazza! Alta, bruna abbronzata, lunghi capelli corvini raccolti in una coda di cavallo e, soprattutto, un fisico da pin up.
Indossava un paio di jeans attillatissimi e una canottiera azzurra che fasciava il suo ampio e sostenuto decolté, un davanzale davvero notevole, non indossava reggiseno e distinguevo chiaramente il rigonfiamento dei capezzoli. Restai letteralmente senza parole, impietrito, all’ingresso del negozio. La ragazza sfoggiò un sorriso a trentadue denti e mi chiese cosa desiderassi. “Frutta” dissi. “Ehm, quale?” mi chiese. “Questa – risposi – me ne dà un chilo.” “Questi sono peperoni” mi fece notare sorridendo ironicamente. Ero nel pallone più totale, fortunatamente mi ricordai di avere la lista, la presi e gliela consegnai. Mentre preparava le cose scritte nell’elenco non le toglievo gli occhi di dosso. Molte cose segnate si trovavano nelle ceste poste in basso per cui ogni volta che si abbassava i miei occhi si tuffavano nella sua scollatura o, se mi dava le spalle, si perdevano nel suo sedere immenso. Aveva quasi finito di preparare il tutto quando mi chiese se fossi del posto. Le risposi che ero in ferie e che sarei rimasto solo due settimane in vacanza. Mi disse che lei era stata in vacanza al mare in Puglia e mi fece vedere alcune foto che aveva sul cellulare. Fui felice di poter ammirare quel capolavoro della natura: un due pezzi ridottissimo copriva a malapena un corpo da favola. Sentivo l’eccitazione crescere in me di pari passo ad una sensazione di calore asfissiante. In realtà il calore non era solo una sensazione perché anche lei si sventolava continuamente ed era madida di sudore. L’idillio fu interrotto dall’ingresso di una cliente, pagai ed uscii. Il resto della giornata fu occupata dal pensiero continuo e martellante della fruttivendola e del suo fisico da sballo. Il giorno dopo alle otto ero già pronto per uscire ed andare a fare la spesa. Mia moglie mi disse: “Sapevo che non avresti resistito a stare senza far nulla tutto il giorno, fortunatamente qui siamo in tanti e occorre comprare qualcosa tutti i giorni.” Annuii con un sorriso e la baciai sulla fronte dicendole “Solo tu mi capisci.”
Impiegai ancora meno tempo a raggiungere il negozio. Giusi – così si chiamava – era dentro, oggi indossava un’altra canottiera e una minigonna che metteva in risalto le lunghe gambe color ambra. Chiacchierammo un po’, si interessò molto al mio lavoro, mi chiese della mia famiglia. Poi mi parlò di lei, mi disse che proprio prima dell’estata era stata mollata dal fidanzato – che pazzo – e che aveva trascorso le vacanze da sola. Finalmente cominciò a prepararmi le cose che mi occorrevano o meglio quelle che mi venivano in mente perché non avevo la lista e non sapevo assolutamente cosa prendere. Quello che mi interessava era che le cose di trovassero in basso in modo da potermi perdere in quella abbondanza di delizie. Ad un certo punto alzai lo sguardo e vidi alcune bottiglie di vino in alto sugli scaffali. Stranamente non erano a portata di mano ma quasi a tre metri di altezza, per cui occorreva una scaletta per prenderle. Le chiesi il motivo e mi disse che più di una volta i clienti nel prenderle le avevano fatte cadere e visto che nemmeno si vendevano tanto perché erano ritenute costose dalla gente del posto, che il vino se lo faceva da sola, le aveva messe in alto e le prendeva su richiesta. Mi venne un colpo di genio e le chiesi di prendermene una. Prese la scaletta e vi salì sopra. Le porte del paradiso si aprirono al mio sguardo. Le guardai tra le cosce ammirando quelle due colonne di carne che si riunivano in due colline colore dell’oro ricoperte da minuscole mutandine bianche che lasciavano uscire ciuffetti di peli neri prima di perdersi nel profondo delle natiche. Le chiesi di prendere un’altra bottiglia più distante, si ripresentò la visione celestiale. Ne chiesi una terza e per la terza volta fui elevato nell’empireo. Ero completamente sconvolto, sentivo il mio membro pulsare e premere nei pantaloni. Avrei voluto affondare le mani nei suoi glutei e, ancora sulla scala, infilare la mia lingua nella sua foresta di peli neri. Ovviamente mi astenni dal fare qualcosa. Non ebbi il coraggio di osare per il timore che qualcuno potesse entrare nel negozio. Presi la mia roba, pagai e tornai a casa. Ero così eccitato che non diedi tempo a mia moglie di mettere a posto quello che avevo portato.
La cinsi alle spalle, le sollevai la gonna, le abbassai le mutandine e la penetrai da dietro. Bastarono pochi colpi per farmi venire sul suo sedere capiente (anche mia moglie non era per niente male). La feci girare sollevandola e mettendola sul tavolo a gambe aperte, affondai la bocca nella sua vulva ancora bagnata e la leccai in profondità facendola godere. Non era la prima volta che mi succedeva per cui mia moglie non trovò nulla di strano nel mio comportamento. Spesso facevamo l’amore appena svegli o al mattino prima di andare al lavoro quando la vedevo uscire dalla doccia o quando ne uscivo io con il pene già eretto. Insomma non mi ci voleva nulla per infiammarmi e prenderla in qualsiasi momento della giornata. Ricordiamo ancora entrambi con piacere una memorabile domenica mattina quando l’avevo montata mentre lei montava a sua volta la panna. Dopo un’oretta però una spiacevole sorpresa: ero di nuovo eccitato ed il mio pensiero correva a Giusi, alla visione delle sue cosce abbronzate, al suo seno, al suo didietro. Il mattino dopo con la scusa del caldo uscii alle sette. Arrivai al negozio nel paesino deserto, non avevo incontrato anima viva nel pur breve tragitto. Giusi era sulla porta, aveva appena terminato di sistemare la merce e si sventolava con una cartoncino di quelli che usava per scrivere i prezzi. Mi accolse con il solito sorriso e mi chiese se il vino mi era piaciuto. Le risposi che lo avevamo finito e che me ne occorreva altro. “Ne ho quanto ne vuoi” mi disse prendendo la scala. Anche questa mattina indossava la solita canottiera e la minigonna. Salì in alto e rividi le due corsie dell’autostrada di carne che conduceva alla sua aiuola di peli neri ricoperti di candido pizzo.
Mentre ero intento alla celestiale visione mi chiese di tenerle la scala “Non vorrei cadere, è vecchia e poco sicura.” Mi avvicinai al nirvana che si apriva al di sopra del mio capo. Potevo sentire il profumo che emanava dal suo sesso distante non più di un metro dal mio naso. Sentivo l’eccitazione divampare nel mio corpo e concentrarsi nel mio pene turgido di desiderio. Prese una bottiglia di vino e scese dalla scala. Si appoggiò a me che tenevo le due mani sul lati della scala, mi scostai repentinamente per timore che il contatto tradisse il mio stato. Risalì sulla scala per prendere un’altra bottiglia, guardai di nuovo, eccitazione si aggiunse a eccitazione. Ridiscese e ancora una volta sfiorò il mio corpo sospinto verso di lei. Questa volta non mi scostai subito ero teso come un arco ed attendevo solo un minimo cenno da parte sua, un segnale, una parola, per agguantarla e farla mia. Invece con un agile movimento si sottrasse al mio abbraccio e mi chiese cos’altro volessi. Ero confuso, perplesso. Possibile che non si fosse accorta che la desideravo e che mi stava facendo impazzire. Possibile che non si fosse accorta che le guardavo tra le gambe quando montava sulla scala, che scrutavo nella sua scollatura quando si chinava. Possibile che non si fosse accorta del mio membro eretto che formava un evidente rigonfiamento nei pantaloni e che doveva aver sentito quando ci eravamo toccati. Non riuscivo a capire: forse le piaceva essere oggetto del mio desiderio ma non aveva intenzione di concedersi, voleva solo torturarmi e farmi sbavare dietro di lei.
Mi sentivo frustrato ma ero impotente, non potevo metterle le mani addosso anche se il suo corpo mi faceva impazzire di desiderio. Mi ripeté la domanda se desiderassi altro. Chiesi altre cose distrattamente e quando le ebbe preparate mi fece il conto. Pagai e stavo per raccogliere la merce ed uscire quando decisi di fare un tentativo per vedere se ci stava o meno. Le dissi “Ma quando mi farai provare la tua roba migliore?” “Quale?” mi rispose. Era il momento, dovevo rischiare il tutto per tutto, se fosse andata bene avrei avute aperte le porte del paradiso, se fosse andata male potevo sempre dire che aveva capito male: “Quella che hai tra le gambe.” Mi guardò un attimo senza dire nulla, non mi sembrava offesa né mi sembrava che non avesse capito bene, dallo sguardo però non riuscivo ad intuire quale sarebbe stata la sua reazione. Poi uscì dal banco e si diresse verso l’ingresso, chiuse la porta di vetro a chiave e girò il cartello da Aperto a Chiuso, quindi si voltò di nuovo verso di me e infilò le due mani nell’ampia scollatura, tirò fuori le due mammelle e mi disse: “Intanto assaggia questi due meloni.” Aveva appena pronunciato l’ultima sillaba che già le mie labbra si erano chiuse su uno dei suoi capezzoli succhiandolo avidamente. Con le mani intanto le avevo afferrato entrambe le natiche e stringevo vigorosamente. Staccai la bocca dal suo seno e la baciai con passione. Le nostre lingue si intrecciarono in un vortice di eccitazione. Sembravamo due assetati che hanno trovato la loro fonte di acqua fresca. Le ficcai un dito nell’ano mentre la spingevo verso il mio sesso turgido ma ancora imprigionato nella sua gabbia di stoffa. “Aspetta – mi disse – non qui, andiamo sul retro.” Entrammo in una porta dietro il bancone e ci trovammo nel retrobottega, un piccolo locale con alcune cassette di frutta e una brandina. Ci buttammo sul giaciglio per consumare il nostro amplesso. Mi tolse la camicia baciandomi sul petto e succhiandomi a sua volta i capezzoli. Io nel frattempo mi ero tolto le scarpe e slacciato la cintura dei pantaloni. Lei completò l’opera aprendo la chiusura a liberando finalmente il mio sesso impennato. Lo impugnò e se lo mise in bocca. Succhiava avidamente dandomi sferzate di piacere.
Le sfilai la canottiera afferrandole il seno e ricominciai a tormentarlo con le mani, poi le misi le mani sui lati della testa e cominciai a muoverla su e giù mentre lei teneva sempre in bocca il mio sesso. Mi venne il desiderio di assaporare il suo. La staccai da me, la feci distendere sul letto e le sfilai la minigonna e le mutandine: ai miei occhi si aprì la bellissima foresta nera solcata da una lingua di lava rossa e bagnata. Volli immergere la mia bocca in quel lago a forma di fiore rosso. Mi aprii la strada con la lingua tra gli anfratti della sua caverna di piacere, succhiai il nettare odoroso che mi aveva inebriato quando sulla scala ne avevo sentito l’aroma. Giusi mugolava e mi teneva le mani ben salde sul capo. Leccai, succhiai, rovistai con la lingua finché non mi ordinò, implorandomi, di prenderla. La penetrai dolcemente affondando contemporaneamente il viso nel suo seno immenso. Mi sembrava di essere avvolto completamente da lei, eravamo una sola entità. Cominciai a muovermi dentro di lei affondando la mia verga di carne nelle sue profondità: ogni colpo sempre più forte e sempre più profondo. Aumentai man mano il ritmo assecondando i suoi movimenti e gli incitamenti che mi dava. Il suo ansimare si fece più forte e veloce all’unisono con il mio. Eravamo entrambi madidi di sudore. I nostri respiri componevano una sinfonia ritmata con il cigolio della brandina. Ancora qualche momento ed esplodemmo entrambi nel gran finale: Giusi con un urlo strozzato venne affondandomi le unghie nella schiena e in uno spasmo di piacere io, un attimo dopo di lei, inarcai la schiena e dopo aver dato l’ultimo colpo di reni estrassi il mio membro dalla sua vulva vibrante per l’orgasmo appena provato. Lo afferrò subito con una mano sostituendola alla vagina e muovendola velocemente. Le venni sul ventre inondandola di caldo umore, poi mi accasciai su di lei, unimmo le nostre labbra e ci abbandonammo esausti al momento catartico che segue l’estasi.
Incontri